Il tema la piccola e media impresa nel 3° millennio ci propone di analizzare le prospettive che offre il territorio.
La nascita di nuove imprese e la adattabilità delle imprese esistenti capaci di sostenere i rapidi cambiamenti della produzione e della tecnologia ci permettono di riflettere all’effetto, ma anche alla causa, che la globalizzazione della concorrenza renderà obsoleto il modello rigido di produzione a vantaggio di altri modelli organizzativi fondati sulla flessibilità, in grado di aumentare la velocità di risposta ai cambiamenti nel livello e nella tipologia della domanda.
Un cambiamento che porta ad un progressivo passaggio da produzioni basati su “economia di scala” a produzioni cosiddette di “scopo”.
Lo sviluppo di una impresa risulta crescente se dipende dall’accumulazione al suo interno di competenze e di professionalità individuali.
Però, l’impresa tende a minimizzare i suoi investimenti in capitale umano in quanto la continua ricerca di flessibilità di tutti i fattori produttivi, in primo luogo il lavoro, comporta la necessità di ritorni nei rendimenti dei suoi investimenti in formazione talmente elevati da renderli di fatto economicamente non convenienti.
In Italia, l’impegno delle piccole e medie imprese, nella formazione appare ancora largamente insufficiente rispetto alla necessità di adattare ed interiorizzare nei processi produttivi le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, in particolare da quelle digitali dell’informazione e della comunicazione.
Un segnale di ciò ci viene offerto indirettamente dai dati sull’andamento della produttività del lavoro. Questa produttività, mentre risulta mostrare significativi segnali di crescita nei maggiori Paesi mondiali inclusi alcuni nostri partner dell’Unione Europea, in Italia e ormai praticamente stagnante.
Si è di fronte ad una situazione complessa e dai segnali contraddittori: da un lato maggior flessibilità contrattuali sostengono occupazione ma contestualmente forme di lavoro precario rischiano di avere effetti negativi sul processo di accumulazione di professionalità da parte dell’impresa e sulla adozione di nuove tecnologie e quindi sulla crescita della produttività del lavoro.
Senza voler esprimere alcun giudizio di merito su queste tendenze, si ritiene che esse vadano assunte come un dato di fatto, con cui misurarsi nella finalità di creare le condizioni di contesto necessarie a sostenere il tessuto produttivo nella sua esigenza di coniugare flessibilità del lavoro con crescita delle competenze professionali di ciascun lavoratore.
Si tratta di una ricaduta di estrema importanza culturale in quanto in grado di ricomporre, seppur solo parzialmente, le distanze che appaiono presenti oggi tra il mondo delle imprese attento alla flessibilità e quello dei lavoratori in cui importanti sono le aspettative di stabilità e garanzia.
Circa le politiche per la creazione d’impresa sarebbe opportuno proporre indicazioni di particolare interessi capaci di garantire la sopravvivenza dell’impresa a conclusione dell’intervento di sostegno pubblico. In questo ambito sarebbe interessante un aiuto finanziario da erogare per l’avvio di impresa in materia di sostegno a nuove iniziative imprenditoriali.
Il nuovo sistema economico che si viene delineando induce maggiore divisione del lavoro tra sistemi e richiede maggiore specializzazione di ciascun sistema produttivo.
In altre parole premia la ricerca di apporti originali e non ripetitivi che sappiano collocarsi all’interno di reti tendenti al globale.
In definitiva sempre più la competitività è collegata alla adattabilità, alla capacità di rispondere sollecitamente alle richieste ed alle sfide che provengono da un contesto esterno sempre più vasto: da qui l’appuntamento determinante con l’era dell’innovazione, della comunicazione digitale, dell’impresa virtuale.
Se da un lato si aprono opportunità per chi le sa cogliere ed adattarle, dall’altro aumentano proporzionalmente i rischi per chi rimane legato a vecchie impostazioni.
In altre parole il più flessibile e innovativo, sopravvive.
Per quanto riguarda la formazione da un punto di vista statico, esiste una discrasia tra domanda e offerte di competenze sul mercato del lavoro.
La scuola è lontana dal mondo del lavoro e spesso la stessa formazione non risponde alle esigenze produttive: si propongono contenuti generici o non rispondenti alle necessità competitive del sistema produttivo territoriale.
È dunque necessario stabilire una cooperazione tra scuola e lavoro e una maggiore conoscenza delle specificità territoriali, sapendo anche programmare per un lungo periodo la formazione di nuove qualifiche e figure professionali.
Da un punto di vista dinamico esiste un ritardo temporale tra domanda e offerta sul mercato del lavoro. Molte figure professionali necessarie alla produzione, rimangono scoperte: secondo una recente indagine nazionale sui fabbisogni formativi, a cura dell’Organismo bilaterale per la formazione Confindustria e Sindacati, le figure scoperte in Italia sarebbero il 60%. Ciò è dovuto al fatto che l’evoluzione dei modelli organizzativi è molto più rapida degli interventi del sistema formativo: si impiegano mediamente 6-8 anni a creare nuove figure professionali.
Di qui la necessità di più organici rapporti con le imprese, le quali devono scommettere di più sulla formazione permanente per essere competitive e assicurare l’adeguamento delle figure professionali alle esigenze produttive.
Il sistema di formazione professionale dovrebbe fronteggiare le crisi offrendo alle imprese strumenti per anticiparle.
È, nell’anticipazione degli strumenti innovativi a sostegno della formazione continua, che si gioca un nuovo raccordo con le imprese.
Questo è vero soprattutto in Sicilia, dove un numero discreto di lavoratori con bassa istruzione trova lavoro nel sommerso, e rappresenta un grosso ostacolo all’ammodernamento e alla competitività delle imprese, in assenza di correttivi che consentono il riadattamento delle competenze di questi lavoratori.
Il vero problema in una realtà con alto tasso di disoccupazione è quello di sostenere i disoccupati nella ricerca di un lavoro e di aiutare le imprese a gestire con la formazione professionale continua quei lavoratori che, purtroppo, frenano lo sviluppo delle imprese e più in generale, la competitività del sistema produttivo e del territorio.
La sfida globale richiede dunque al sistema di istruzione e formazione un grande sforzo ed un investimento per uscire da una visione “scolastica” autoreferenziale, per collegarsi meglio alla realtà economico-produttiva, non appiattendovisi, ma sviluppando competenze e attitudini, e non solo conoscenze statiche.
Ciò presuppone procedere ad una ridefinizione del rapporto tra sistema educativo, mondo del lavoro e società nel suo complesso.
È necessario procedere a sviluppare sistemi di formazione integrata del lavoro e di formazione professionale per difendere ed accrescere l’occupazione, delineando strategie sostenibili e complete, che favoriscono una maggiore capacità di adattamento ai cambiamenti tecnologici ed economici, promuovendo l’acquisizione di qualifiche corrispondenti alle esigenze del mercato del lavoro. Gli interventi formativi devono essere mirati alle caratteristiche e vocazioni locali, tenendo presente che i fabbisogni formativi devono essere derivati non solo dai fabbisogni professionali, ma dalle caratteristiche dei soggetti e dai contesti di riferimento. Ciò può essere fatto creando un ambiente, non solo economico, ma socio-culturale, favorevole alla nascita di nuove imprese, nonché alla crescita delle piccole e medie imprese esistenti.